- Publisher: Self-Publishing
- Series: Autoconclusivo
- Available in: Ebook, cartaceo
Trama
Quanti segreti sei disposto a mettere nelle mani dell’unica persona con la quale non puoi permetterti di avere un debito?
Lo sa bene Emeric: nessuno.
Eppure, Rylee Winters, dal giorno del suo sedicesimo compleanno, sembra essere ovunque. O forse c’è sempre stata, ma lui non voleva guardare.
Non voleva che, su otto miliardi di persone nel mondo, fosse proprio la Winters a tirarlo fuori da una brutta situazione.
Perché dal giorno in cui Rylee ha messo piede alla Monarch Bay Prep, Emeric ha contribuito a farle degli scherzi crudeli e, a queste condizioni, quante probabilità ci sono che sia disposta a mantenere i suoi segreti?
Poche. Pochissime.
Gli scherzi finiscono ora.
*
Rylee Winters tutto si sarebbe aspettata tranne che di diventare il bersaglio preferito di un branco di bulli. Qualcuno avrebbe dovuto avvisarla che a regnare sull’intero corpo studentesco della Monarch Bay Prep ci sono dei veri e propri Re.
Ha sopportato le loro umiliazioni per un anno intero, finché, un giorno, hanno semplicemente smesso.
Non c’è bisogno di fare domande: il ragazzo per il quale il suo cuore batte all’impazzata dal primo giorno è in debito con lei. E ha promesso di lasciarla in pace.
Eppure, la cosa peggiore di tutte è stata venire a patti con una verità che non pensava possibile: essere ignorata da Emeric Lay Lawrence è di gran lunga peggio che essere tormentata da Emeric Lay Lawrence.
L’estate è alle porte e Rylee ha tutte le intenzioni di fare in modo che sia indimenticabile. Ma basterà mettere un po’ di distanza fra loro per cancellare i torti subiti e risanare ferite invisibili, o la prossima umiliazione è proprio dietro l’angolo?
Romanzo Autoconclusivo
Dettagli
Pagine: 514
Genere: High School Romance – Enemy to Lovers – Soft Bully – Autoconclusivo
Editore: Self-publishing
Prezzo Amazon digitale: 2,99
Prezzo Amazon cartaceo: 13,90
Data di uscita digitale e cartaceo Amazon: 25 gennaio 2023
Prologo
Non devo rimanerci male.
Non fa niente.
Se ne dimenticheranno tutti nel giro di qualche giorno, ne sono certa.
Continuavo a ripetermelo nella testa come un mantra, mentre i miei occhi si riempivano di lacrime contro la mia volontà e sentivo le guance bruciarmi per quanto, con ogni probabilità, erano diventate rosse.
Erano crudeli e io non sapevo come contrastarli.
Mandai giù il rospo incastrato in gola, strinsi i denti fino a farmi male e imposi ai miei piedi di muoversi. Raggiunsi la fila di armadietti più vicina, strappai via le pagine che ci avevano attaccato sopra con lo scotch trasparente e ignorai le evidenziazioni. Dovevano avere davvero tanto tempo libero fra le mani per prendersi la briga di scarabocchiare su ogni pagina, attaccata su ogni fottuto armadietto.
Per quanto cercassi di ignorare gli sguardi dell’intero corpo studentesco, non ci riuscivo. Per quanto provassi a bloccare il suono delle loro risatine ciniche, quelle mi arrivavano prepotenti alle orecchie. Per quanto tentassi di rimanere stoica, mi stavo sbriciolando.
Riuscii a liberare un’intera fila di lockers, sollevai lo sguardo e lo stomaco si contrasse: quei teppisti avevano tappezzato tutto il primo piano! Ovunque guardassi, le pagine fotocopiate dei romanzi di mia madre erano lì a fissarmi. Parole come “erezione incontenibile”, “sesso duro”, “umori” e “clitoride pulsante” erano state cerchiate di rosso così tante volte da sembrare palline di Natale su quei fogli bianchi.
E me ne vergognavo. Profondamente.
Il mio cuore si stava arrendendo, l’istinto mi imponeva di proseguire. Non potevo dargliela vinta, mia madre non mi aveva cresciuta come una codarda.
Non si scappa davanti alle difficoltà, Rylee. Si combatte.
Racimolai un briciolo di lucidità, ma anche quella andò a farsi un bagno non appena, in fondo al corridoio, incrociai gli occhi più imperscrutabili che avessi mai incontrato nella mia vita: quelli di Emeric Lay Lawrence.
Eric, per gli amici.
Quindi non per me.
Non faceva mai il lavoro sporco in prima persona, ma quella volta non avevo dubbi che ci fosse lui dietro a quella bravata. Due mesi prima, qualche giorno dopo l’inizio della scuola, Travis Whitlock, il suo migliore amico, mi aveva invitata al Ballo d’Inverno. E io avevo rifiutato davanti a tutti. Ora me la stavano facendo pagare.
Nessuno diceva di no a Travis Whitlock. Nessuno diceva di no ai membri della Triade Oscura, se è per questo, solo che io non lo sapevo. Qualcuno avrebbe dovuto avvisarmi, mettermi in guardia, spiegarmi che alla Monarch Bay Prep School c’erano dei veri e propri Re, e se uno di loro ti chiedeva di essere la sua Regina, l’unica risposta giusta era “sì”.
Sempre.
Solo che a invitarmi al ballo era stato il Re sbagliato…
Strappai un altro foglio, le parole “le sfilai le mutandine e le leccai la fica da dietro” mi annebbiarono la vista per una manciata di secondi. Qualcuno ci aveva disegnato accanto uno schizzo a matita piuttosto esplicito, talmente accurato da non aver tralasciato alcun dettaglio. Per questo sapevo che lo scempio che si consumava sotto i miei occhi era tutta opera di Emeric. Avevo intravisto i suoi disegni, sapevo cosa era capace di fare con un carboncino e una tela bianca a sua disposizione. Era tutto il resto che ignoravo.
Intenta a staccare l’ennesima pagina, con il cuore sempre più pesante e una gran voglia di scappare nel bagno delle ragazze e affogare nelle mie stesse lacrime, mi accorsi solo all’ultimo della mano che si allungò accanto al mio viso e che strappò via un foglio al posto mio.
Alzai la testa di scatto; Marcus Benvenuti era proprio accanto a me. Frequentavamo un paio di classi insieme, ma non ci eravamo mai rivolti la parola.
In silenzio, mi aiutò a liberare un intero blocco di armadietti. Non sapevo perché mi stesse aiutando, però non aveva importanza: in due avremmo fatto prima. La seconda campanella sarebbe suonata di lì a qualche minuto e se uno dei professori avesse visto quello sterminio di parole, sarei finita in detenzione.
«Benvenuti, fatti i cazzi tuoi!», tuonò la voce autoritaria di Travis. Lo vidi con la coda dell’occhio avanzare lungo il corridoio, venirci incontro.
Per avere solo sedici anni, Travis Whitlock possedeva un tono profondo da uomo adulto. Mi spaventava. Nonostante i lineamenti delicati e attraenti, gli occhi azzurri e troppo grandi, il sorriso rassicurante, lui mi spa-ven-ta-va.
La sua mano sbatté forte sul metallo, proprio fra me e Marcus, facendomi sussultare.
«Hai capito quello che ti ho detto, microbo?». La voce di Travis si abbassò fino a diventare un sussurro raccapricciante. Marcus era più basso di lui, più piccolo, più indifeso. Dimostrava la sua età, insomma.
Mi strinsi al petto gli ultimi fogli che ero riuscita a staccare e mi appiattii contro gli armadietti.
Travis caricò il pugno, io chiusi gli occhi. Perché, in fin dei conti, lo ero, codarda. Perché non ero abbastanza lucida per mettermi in mezzo e difendere l’unico ragazzo che si fosse preso la briga di aiutarmi. Mi aspettavo di sentire il colpo, il grido strozzato di Marcus, il panico tutto intorno.
Invece non successe proprio nulla.
Riaprii gli occhi e tutto ciò che riuscì a mettere a fuoco nel mio campo visivo fu Emeric Lay Lawrence in tutta la sua avvenenza. I suoi capelli biondo cenere, le spalle larghe, il modo aggraziato che aveva di muoversi, così lento, così calcolato, così sicuro di sé. Aveva bloccato la mano di Travis a mezz’aria, ma teneva gli occhi puntati su Marcus.
«Sparisci», sibilò, inclinando appena la testa di lato.
Un’unica parola, pregna di arroganza, che fu sufficiente a farmi venire la pelle d’oca.
Sentivo gli occhi di Marcus addosso, ma i miei erano tutti per Emeric. Era ipnotizzante, in modi che non riuscivo a capire. Per qualche strana ragione, nonostante le battute crudeli, nonostante ogni fibra del mio corpo sapesse che dovevo stare alla larga da lui, io non riuscivo mai a distogliere lo sguardo. Non era solo la sua bellezza a impedirmi di guardare altrove, era tutto il resto. Emeric mi affascinava. Non avevo mai conosciuto nessuno come lui: silenzioso, sfuggente, astuto, senza scrupoli… machiavellico.
«Hai capito?», ripeté Emeric rivolto a Marcus, con tono piatto.
Benvenuti fece un passo indietro, io sentii le ginocchia cedere. Mi stava abbandonando, mi stava lasciando al mio destino. Ma fu quando Emeric spostò solo gli occhi e incrociò i miei che ricevetti il colpo di grazia. In fondo a quelle iridi verde ardente, c’era tutto il suo disprezzo. Non ne capivo il motivo e detestavo che proprio lui mi guardasse come se fossi l’essere più insignificante della Terra.
«E tu?», mi chiese, anche se non era davvero una domanda. «Ti ho dato il permesso di staccare le pagine?».
Era la prima volta che mi rivolgeva la parola direttamente. Nelle ultime settimane, da parte sua, avevo ricevuto solo frasi – insulti, a dire il vero – indiretti.
Strinsi forte le labbra, mi stavano guardando tutti. Abbassai lo sguardo sui nostri piedi; il pavimento era disseminato di carta che avevo strappato via. Quei disegni volgari mi colpirono come un pugno nello stomaco, quelle parole cerchiate di rosso si prendevano gioco di me. E io non avevo intenzione di dargliela vinta.
Mi armai di quel poco coraggio che avevo e guardai Emeric dritto negli occhi. Feci mezzo passo in avanti, il cuore ridotto a una poltiglia di carne pulsante. Non avevo la risposta pronta, ma ero certa che sarebbe bastato aprire la bocca e darle fiato per vomitargli addosso tutto il mio risentimento.
Così lo feci. Aprii la bocca, ma non uscì alcun suono. E non per colpa mia, ero più che determinata a dirgli che avevano passato il limite. Fu la voce tonante della professoressa McHolland a frenarmi.
«Cosa sta succedendo qui?».
Mi voltai a guardarla, addosso ancora la sensazione degli occhi freddi e inespressivi di Emeric.
La professoressa McHolland raccolse un foglio dal pavimento di marmo color pesca andata a male, sbiancò, si portò una mano alla bocca. Poi il suo viso diventò più rosso del mio. Il suo non era imbarazzo ma rabbia.
Travis si mise in mezzo, frapponendosi fra il suo migliore amico, me e la professoressa di trigonometria avanzata. Non potevo vederlo in viso, ma ero certa stesse sfoggiando uno dei suoi sorrisi da canaglia che gli permettevano sempre di cavarsela.
«Professoressa McHolland, quel completo azzurro le dona particolarmente. Le mette in risalto gli occhi… e la bocca», cercò di adularla Travis.
«Non provarci, Whitlock. Voglio una spiegazione o vi sbatto dal preside».
Bastò pronunciare quell’unica parola magica per far dileguare tutti alla svelta. Spettacolo finito! Rimanemmo solo io con i fogli ormai distrutti in mano, Emeric, annoiato, accanto a me; Travis che mi dava le spalle e Braddock Monroe, che notai solo in quel momento, a chiudere il cerchio.
Non sarebbe finita bene, non per me, almeno. Perché in una scuola come la Monarch Bay Prep, per le ragazze come me, quelle che non vantavano un fondo fiduciario a sei zeri, non finiva mai bene.
I membri della Triade Oscura? Non avevo dubbi che se la sarebbero cavata con una pacca d’ammonizione sulla spalla e tanti saluti. Mi sembrava di impazzire. Possibile che fossi l’unica a rendersi conto di quanto fossero pericolosi questi ragazzini viziati e senza scrupoli? Possibile che avessero sempre le spalle coperte, qualcuno pronto a combattere le loro battaglie, un intero corpo studentesco dalla loro parte e professori compiacenti che chiudevano entrambi gli occhi troppo spesso?
Confidai nel buon senso della professoressa McHolland. Confidai che, una volta tanto, avrebbe prevalso la giustizia divina, che qualcuno facesse scontare a quei tre esseri ignobili le loro angherie ingiustificate, i loro modi da bulli, i loro scherzi crudeli.
Non successe.
Non come mi aspettavo, almeno.
Nessuno dei quattro finì dal preside Sage, ma a tutti e quattro venne ordinato di ripulire gli armadietti per poi presentarsi, alla fine delle lezioni, nell’aula della professoressa McHolland per quattro ore di detenzione.
A ripulire, veloce come un proiettile, fui solo io. A presentarsi alle due e trenta nella stanza 305 fummo solo io ed Emeric. Scoprii solo più tardi che i genitori di Travis e Braddock avevano chiamato a scuola ed erano riusciti a fargli togliere la punizione.
Ero arrivata alla Monarch Bay Prep solo due mesi prima, piena di entusiasmo per essere stata ammessa in una delle scuole più prestigiose della costa ovest. Mi ero trasferita all’inizio del terzo anno di scuola superiore, determinata a sfruttare al massimo l’educazione esclusiva che quell’istituto offriva. E ora contavo i giorni che mi separavano dal diploma. Ogni mattina cercavo di convincermi che prima o poi i membri della Triade Oscura avrebbero smesso di tormentarmi, si sarebbero stancati della sottoscritta e avrebbero preso di mira qualcun altro. E se anche quel pensiero non mi faceva onore, me ne fregavo. Volevo solo essere lasciata in pace.
Ignorata.
Mi perseguitarono per l’intero anno scolastico, finché, un giorno, poco prima dell’inizio delle vacanze estive, semplicemente smisero.
E la cosa peggiore fu venire a patti con una verità che non pensavo possibile, che mi faceva vincere, di diritto, il premio di Imbecille dell’Anno”: essere ignorata da Emeric Lay Lawrence era di gran lunga peggio che essere tormentata da Emeric Lay Lawrence.