- Publisher: Self-Publishing
- Series: Autoconclusivo
- Location: New York City – NYU
- Available in: Ebook, cartaceo
Non sono andata a quella festa per incontrare lui. Lui, è capitato.
Uno sguardo di troppo, un mezzo sorriso da canaglia, un rum e cola al quale dare la colpa dopo e, come per incanto, mi sono ritrovata in uno sgabuzzino delle scope, avvinghiata al corpo nudo e bellissimo di questo sconosciuto.
E Sconosciuto ci sa fare.
Sconosciuto mette in discussione la mia indole diffidente, mi fa provare emozioni contrastanti, mina le mie certezze.
Ma per fortuna non lo rivedrò mai più… o almeno era quello che pensavo.
Lui è il diavolo in persona.
Quando mi guarda, mi spoglia.
Quando mi parla, mi ferisce.
E io devo mettere una distanza infinita fra di noi, prima di lasciarci il cuore.
***
Non pensavo mi avrebbe assecondato. Nemmeno per un attimo ho creduto che sarebbe bastato un cenno del mento per convincerla a seguirmi.
Dieci secondi ed è riuscita a mettermi K.O.
C’è solo un problema: adesso che ho scoperto chi è, capisco che non la posso avere. Tutte, ma non lei.
Cybil MacBride è pericolosa, imprevedibile, intoccabile.
Eppure, ogni volta che chiudo gli occhi, le uniche cose che vedo davanti a me sono una cascata di capelli biondi e un tattoo minuscolo all’altezza dell’inguine, che rimane, ad oggi, la cosa più eccitante sulla quale abbia mai messo le mani.
Peccato che quei capelli e quel tatuaggio appartengano entrambi a una grandissima manipolatrice.
E si sbaglia: il diavolo in persona non sono io. È lei!
Prologo
Due anni e mezzo prima
Il rum è l’elisir del diavolo.
Soprattutto se mischiato con la Coca-Cola. Fa fare cose sconsiderate.
Come adesso, per esempio, che ho la lingua di un perfetto sconosciuto infilata in bocca, il suo bacino premuto contro il mio… e mi sta piacendo un casino. Io e Sconosciuto siamo nascosti dentro uno stanzino per le scope, io seduta su qualcosa di traballante e ruvido, lui perfettamente a suo agio fra le mie gambe aperte. La musica che arriva dalla grande sala della Delta Kappa Delta, trasformata in pista da ballo per la serata, la sento appena, ma credo si tratti di 7 Nation Army dei The White Stripes. Così come a malapena percepisco il rumore ovattato dell’involucro del preservativo che si lacera.
Voglio davvero fare sesso, dentro un ripostiglio, con un ragazzo appena incontrato?
Certo… Sconosciuto ci sa fare, e questo non gioca a mio favore. La sua bocca sapiente mi bacia, è impaziente, morbida e decisa. Una delle sue mani scorre lungo la mia coscia, partendo dal ginocchio e fermandosi a mezzo millimetro dai miei slip. I baci diventano lenti e sensuali, una danza di lingue che si sfiorano, si intrecciano. Poi nervosi. Poi di nuovo così sexy da mandarmi in frantumi il sistema nervoso.
In una situazione normale, non mi sarei mai fatta abbindolare da Sconosciuto. Avrei incrociato i suoi occhi penetranti, messo a fuoco il ghigno strafottente, preso atto della sua sconvolgente bellezza, classificato alla voce “Pericolo” senza pensarci due volte e mi sarei girata dall’altra parte.
È piuttosto evidente, mentre mi appresto a sbottonargli i jeans con una certa urgenza, che qualcosa è andato storto. Do la colpa al rum, principalmente. Ma ho la fastidiosa impressione che il corpo mozzafiato di Sconosciuto sia stato il coefficiente determinante in questa assurda equazione.
Eravamo ai lati opposti della stanza, almeno un centinaio di studenti fra di noi. Io con il secondo Cuba Libre in mano, lui giocava con una bottiglia di birra piena per metà.
Io ero in piedi, appoggiata a una parete con la spalla. Lui stravaccato su una poltrona consunta, una gamba oltre un bracciolo, una ragazza seduta sull’altro.
Io non la smettevo più di toccarmi i capelli con fare nervoso. Lui ha sollevato solo un angolo delle labbra e si è portato il collo della bottiglia alle labbra.
Quello scambio di sguardi è andato avanti per circa due canzoni. Lui mi ha fissata per tutto il tempo, io ho provato a ignorarlo. Fallendo miseramente. Poi si è alzato, mi ha rivolto un cenno con il mento e indicato il corridoio oltre la consolle improvvisata.
La mia testa ha urlato “non andare, cretina”, i miei piedi hanno fatto l’esatto opposto.
Lo aiuto a sfilarsi la t-shirt e la lascio cadere accanto alle sue scarpe da ginnastica. Ha il petto liscio e i muscoli definiti. Una V perfetta solca la pelle chiara e finisce dentro l’elastico dei boxer, che sbucano da sotto i jeans. Gli accarezzo con lo sguardo i tatuaggi sui bicipiti. Da una parte, delle onde stilizzate e una tavola da surf abbandonata fra le acque, e dei fiori colorati, dalle linee sottili ma decise, dall’altra. Sconosciuto poggia la bustina del preservativo – aperta e pronta all’uso – accanto al mio sedere, sul trabiccolo sul quale sono seduta.
Le sue dita esperte raggiungono il bordo dei miei slip e se ne disfa con una precisione chirurgica, facendomi arricciare la punta dei piedi e rizzare i peli dietro la nuca.
Le parole “è la prima volta che faccio una cosa del genere” mi muoiono in gola, sembrano superflue vista la circostanza. A lui sicuramente non interessano le mie paranoie, non mi crederebbe neanche.
Si stacca dalle mie labbra e mi punta addosso i suoi stranissimi occhi. Sono blu? Sono grigi? Forse un mix perfetto di entrambi. Mi fissa la bocca, poi la scollatura, infine torna sul mio viso. Sconosciuto aspetta che mi decida, che gli dia il via libera.
Ha davvero bisogno del mio permesso? La situazione è piuttosto chiara: siamo chiusi in uno sgabuzzino, lui è senza maglietta, con i jeans slacciati e i boxer neri attillatissimi – che non ci provano neanche a nascondere la sua erezione – in bella mostra. Io sono seduta su Dio solo sa cosa, senza slip e con le gambe aperte.
Strofina il naso contro la mia guancia e diventa tutto fin troppo chiaro: non è colpa del rum. Sono i suoi occhi di quello strano colore sofisticato a fregarmi, è il suo bellissimo viso, dai lineamenti spigolosi eppure perfettamente armonici, il profumo costoso e mascolino che mi si appiccica sulla pelle, sono i capelli scompigliati dalle mie dita. E le sue mani sulla mia pelle nuda.
Gli passo un braccio intorno al collo e lo attiro a me, soffocandolo di baci avidi. E lui non ha bisogno che gli spieghi a parole che può fare di me ciò che vuole.
Anche se siamo chiusi dentro uno sgabuzzino con il rischio che entri qualcuno da un momento all’altro.
Anche se il massimo che ci concederemo sarà una sveltina.
Anche se ci troviamo nel bel mezzo di una festa della confraternita Delta Kappa Delta.
Anche se non so il suo nome. E lui non sa il mio.
Sconosciuto, con un gesto veloce ed elegante, si libera dei boxer e dei jeans, lasciandoli entrambi ciondoloni intorno alle ginocchia. Si prende in mano l’erezione e indossa il preservativo. Io lo fisso, ipnotizzata, e a stento registro che mi sto sfilando il vestito che ha già provveduto a slacciarmi. Ha quasi strappato via la cerniera sulla schiena, cercando di abbassarla.
Si immobilizza per una frazione di secondo, gli occhi fissi in mezzo alle mie gambe.
«Cazzo…», soffia fuori dai denti. Ha una voce profonda, roca, che mi arriva dritta allo stomaco e poi scende in picchiata verso l’inguine. Ed è proprio lì che si concentra tutta la sua attenzione, sul mio minuscolo tatuaggio in stampatello che recita “BAD GIRL”. Il mio personalissimo promemoria dei miei sedici anni da ragazzina ricca e ribelle. E anche molto stupida.
La sua bocca famelica si chiude intorno a uno dei miei capezzoli e succhia forte. Così forte che manda a farsi fottere tutti i miei sensi. Butto la testa all’indietro e mi lascio andare, anima e corpo.
In pochi secondi, questo strampalato incontro casuale si trasforma nel miglior sesso della mia breve vita. È intenso, rude, sfrenato. Le sue mani toccano mille nervi scoperti, il suo odore sublime mi si incastra nel cervello e i suoi gemiti incontrollati mi catapultano in un universo parallelo dove lui è il dio onnipotente e io mi piego alla sua volontà.
Il piacere arriva all’improvviso, mi stordisce, eppure mi fa sentire viva come non mai.
Sconosciuto poggia la fronte contro la mia, entrambi incapaci di riprendere fiato.
«Dio», sospira. Le sue labbra trovano le mie un’ultima volta, me le bacia appena, le mordicchia piano. Poi si allontana.
Scendo dal trabiccolo e recupero il mio vestito, lo indosso dandogli le spalle. Faccio scorrere gli slip lungo le gambe, lui si riveste in fretta e furia dietro di me.
Ora che il momento di follia è passato, che l’alcol è del tutto evaporato, l’imbarazzo ci piove addosso come una scarica di missili in zona di guerra.
Dovrei presentarmi? Dovrebbe farlo lui?
No, Sconosciuto non sembra il tipo che ti porge la mano e poi ti chiede pure il numero di telefono. Lui ha tutta l’aria di uno che si prende quello che vuole, quando vuole, e poi passa oltre.
Mi avvicino alla porta e stringo la maniglia, volto solo la testa. Sconosciuto sta finendo di allacciarsi i bottoni dei jeans. Alza appena gli occhi e mi rivolge, per la seconda volta, quella mezza specie di sorrisetto beffardo di chi ha ottenuto quello che voleva ed è soddisfatto così, pronto a voltare pagina. Mi scricchiola qualcosa nel petto.
«Ci vediamo in giro», riesco a dire.
Me ne voglio andare? No.
Vorrei sapere con chi ho appena fatto del sesso indimenticabile in una stanzetta di due metri quadri, che puzza di solvente industriale? Certo.
Gli darò la soddisfazione di liquidarmi con un “è stato bello finché è durato, ma purtroppo non sono in cerca di una cosa seria”? Mai!
«Sì, beh…», sta dicendo, ma non lo lascio finire. Esco dallo sgabuzzino, mi richiudo la porta alle spalle e mi rifugio nel primo bagno che trovo. Sistemo i capelli davanti allo specchio, passo le dita sulle labbra gonfie. Nei cinque minuti successivi alterno risatine imbarazzate a mani che nascondono il viso mentre mi do della cretina.
Con tutta probabilità non lo rivedrò mai più, quindi perché cavolo mi sto preoccupando tanto?
Guardo un’ultima volta il mio riflesso allo specchio; i capelli biondi sono di nuovo in ordine, le labbra sembrano meno turgide e il mascara è intatto. Uscirò da questo bagno a testa alta, recupererò la borsa che ho lasciato a Diane e tornerò al dormitorio.
E non penserò mai più a Sconosciuto.
«Cybil!». Mi sento chiamare alle spalle e salto in aria. Santo cielo, devo darmi una calmata.
«Ciao… Rob…».
Merda! Merda, merda.
Mi ero dimenticata di Robert. L’unico motivo per il quale sono venuta qui, stasera, era per incontrare lui. Doveva essere una specie di primo appuntamento. E io ho appena fatto sesso – spettacolare – con un altro.
«Dov’eri finita?». Il suo sorriso dolce mi stende. Gli sono morta dietro per un intero semestre, l’ho tampinato a lezione come farebbe una stalker professionista, trovato ogni pretesto per parlargli o sedermi accanto a lui in classe. Poi finalmente mi invita a uscire e io… io marcirò all’inferno!
«Ero qui in giro». Mi avvicino di un passo e lui fa lo stesso. Robert Henderson mi accarezza una spalla con la mano. È posato e bellissimo. Quando sorride gli si forma una fossetta adorabile sulla guancia destra. È alto, e per guardarlo negli occhi devo sempre sollevare il mento.
«Beviamo qualcosa?», propone. Quando non rispondo corruga le sopracciglia e si sporge sul mio viso. «Va tutto bene?».
Annuisco. Certo che va tutto bene. D’altronde, tu sei il ragazzo dei miei sogni.
«Magari una Coca-Cola… possibilmente senza rum!».
Rob ride, mi poggia una mano sulla schiena e mi spinge delicatamente in avanti. Riusciamo a fare appena due passi prima di venire travolti da un ragazzone alto quanto Rob, ma più massiccio, che ci piomba addosso da dietro nel maldestro tentativo di superarci lungo il corridoio.
«Ehi!», lo richiama Rob.
Ragazzone si volta e, che mi prendesse un maledettissimo colpo, Ragazzone è… Sconosciuto!
D’istinto abbasso gli occhi sui miei piedi, ma è troppo tardi: sono stata identificata.
Nightmare di Arshad pompa furiosa dalle casse e il mio cuore segue a tempo il ritmo dei bassi.
«Dove stai correndo?», gli domanda Rob. Io continuo a contemplare le mie scarpe con il tacco. La punta di quella di destra è un po’ consumata. Magari le butto.
«Stavo… niente. Stavo cercando te. Quando sei arrivato?». La voce di Sconosciuto mi fa battere ancora più forte il cuore.
«Dieci minuti fa», risponde Rob. «Ti presento una… amica». Esita sull’ultima parola.
Chiamata in causa, sono costretta a sollevare lo sguardo e, maledizione, l’unica cosa che metto a fuoco sono le labbra di Sconosciuto. E me le immagino di nuovo sul mio seno. Nessuno dei due si muove. Io sto trattenendo il respiro e sorrido appena. Lui mi trafigge di nuovo con quel suo ghigno da mascalzone.
«Vi conoscete?!», ci domanda Robert, con un tono ambiguo.
«No», mi sento dire. «Non ci conosciamo».
Sconosciuto alza entrambe le sopracciglia, la smorfia compiaciuta si smorza appena. Mi reggerà il gioco? Da come mi sta guardando, forse sì, ma ho l’impressione che me la farà pagare.
«No… non ci conosciamo affatto. Mai visti». Mi porge la mano e io sono costretta a stringergliela. «Lucas».
Lu-casss…
«Piacere, Cybil», sussurro.
Lucas fa un mezzo passo all’indietro, quasi come se una mano invisibile lo avesse spintonato. «Cybil?». Pronuncia il mio nome come se fosse veleno in bocca. Poi si volta a guardare Robert. «Quella Cybil? La tua Cybil?».
La sua Cybil? Il cuore accelera al punto che mi soffoca.
«Ehm… sì», conferma Rob.
«Cioè, Cybil la tua compagna di corso? Quella che nomini sessanta volte al minuto? Dolce e brava ragazza, Cybil?».
Strabuzzo gli occhi. Robert diventa del colore della moquette di questa confraternita: una sfumatura intensa di bordeaux. E Lucas prima ride, poi si acciglia.
«Che stronzo!», sibila Rob. «Grazie per la figura di merda, fratello». Si passa una mano dietro la testa, scompigliandosi i capelli castani alla base del collo, in totale imbarazzo.
Ma non può esserlo più di me.
«Che piacere conoscerti, Cybil. Da come ti aveva descritta Robby, qui, ti immaginavo molto diversa». Lo dice con un tono che per metà mi mortifica, ma per lo più mi fa incazzare.
«Cioè? Come mi immaginavi?». Raddrizzo le spalle e sollevo il mento, fiera. Se vuole giocare a carte scoperte, facciamolo. Sono abbastanza grande per assumermi le responsabilità delle mie azioni. Vuole dire a Rob che dieci minuti fa eravamo nudi dentro lo stanzino in fondo al corridoio e ci stavamo dando dentro senza pietà? Che si accomodi!
Lucas mi esamina dalla testa ai piedi. I suoi occhi si velano di qualcosa che non capisco. Se un minuto fa era sorpreso e curioso, ora credo sia solo infastidito.
«Ti immaginavo molto più bella», ribatte senza esitare.
Stronzo!
«A te, invece, non ti ha mai neanche nominato».
«Ehi, ehi, ehi», si intromette Rob. «Che vi prende?».
Lucas posa una mano sulla spalla di Rob. Glielo dirà. «Ma niente», minimizza, invece. Mi tremano le ginocchia. «Vado a prendermi una birra. Vuoi qualcosa?». La domanda è solo per Rob.
«Stavo giusto andando con Cybil».
«Certo. Mi tolgo dai piedi, allora. Buona serata». Ma fa solo due passi, poi ci ripensa e riporta l’attenzione su di me. «Robert non è solo il mio migliore amico, è la mia famiglia. Ti tengo d’occhio, Cybil».
Non mi lascia neanche il tempo di replicare. Di spiegargli che si è fatto un’idea assolutamente sbagliata e ingiusta di me. Che quello che abbiamo fatto nello stanzino è capitato e basta. Non l’avevo programmato. Non posso nemmeno credere che sia successo davvero!
Ma a lui non interessa. Si allontana con passo svelto e per il resto della serata mi evita come la peste.
Pagine: 370
Genere: New Adult – College Romance – Enemy to Lovers
Editore: Self-publishing
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Prezzo Edizione speciale: 14,90 (solo su prenotazione)
Data di uscita digitale e cartaceo Amazon: 20 luglio 2020