Benjamin
All I Want for Christmas Is New Year’s Day – Hurts
Happy Christmas (War Is Over) – Maroon 5
Nascondo la scatolina di velluto nella tasca posteriore dei jeans e cerco, con camminata disinvolta e sguardo innocente, di dirigermi nel bagno della camera matrimoniale senza essere intercettato dalle donne di casa Carter. Devo far sparire il bracciale che ho preso come regalo di Natale per Cat e sostituirlo con una penna con il tappo a forma di navicella spaziale che ho rubato in ufficio per farle uno scherzo. Uno scherzo che non gradirà quando aprirà la custodia nera e liscia e si ritroverà davanti la stilografica firmata N.A.S.A..
«Cosa fai?», la vocina stridula di Eva alle mie spalle mi fa fare un balzo in avanti dallo spavento.
«Da dove arrivi?». Mi guardo intorno perplesso, sono certo di aver chiuso la porta a chiave.
«Ero nascosta dentro la vasca», fa spallucce e sventola la sua manina ossuta davanti alla mia espressione esterrefatta. «Non preoccuparti papà, è una storia lunga».
«Ha a che fare con Logan?». Quel ragazzino è un teppista!
«Magari», sbuffa e, con un balzo atletico, si sistema sul piano in marmo del bagno. Poi afferra il bracciale di diamanti. Se lo rigira fra le dita e strizza gli occhi per osservarlo meglio. «Bello. Josh ha lasciato in giardino la sua palla da football, io l’ho presa per giocarci – volevo dimostrare a Logan che so benissimo come si lancia un pallone, mica bisogna essere maschi per dare un calcio a una stupida palla ovale! – solo che è finita a casa dei Robins e… beh, Denver l’ha bucata».
Sistemo la penna nell’astuccio. «Quindi ti stai nascondendo da Josh?». Mi riprendo il bracciale e lo infilo in tasca.
«Esatto! Ha detto che se ci prende ci chiuderà entrambi nel sottoscala e tu sai quanto odio il sottoscala»
Lascio perdere per un secondo il regalo per Cat e mi concentro su Eva. Farla crescere con sei cugini maschi si sta rivelando una pessima idea.
«Vuoi che ci parli io?».
Sgrana gli occhi e inarca la schiena. «Sei impazzito papà?! Hai idea di cosa succede alle bambine che fanno la spia?». Ho paura a chiedere, così mi limito a scuotere la testa. «Vengono mangiate nel sonno dagli scarafaggi e non c’è modo di scappare. E ti sembra che io abbia voglia di essere divorata fino all’osso da quegli schifosi insetti? Non credo proprio».
Rimango imbambolato a fissarla. Certe volte mi fa paura. Lascio cadere il discorso e mi riprometto di parlarne con Cat – lei saprà cosa dirle – e le mostro la penna.
«Quanto si arrabbierà la mamma?».
Ridacchia e si copre la bocca con la manina. «Parecchio! Fammi rivedere un attimo il tennis».
«Il cosa?».
«Il bracciale. Il tennis! Non dirmi che non sai che si chiama così?».
Sempre. Mi fa paura sempre e ha solo sei anni. «Certo che lo sapevo», mento io, e lei se ne accorge.
Alza gli occhi al cielo e sistema il fiocco sull’astuccio di velluto. «Dove nasconderai il bracciale?».
«Pensavo di metterlo dentro una serie di scatole così ci metterà un po’ per trovarlo», rispondo, entusiasta.
«Wow papà, che idea orribile!».
«Ehi! Un po’ di rispetto!».
«Hai ragione». Eva abbassa lo sguardo per un secondo e, quando lo rialza, la sua espressione da grande mi fa venire un capogiro. «Padre, non è un bellissima idea, ma se ne hai voglia posso aiutarti io».
Vipera!
«Ah sì, e cosa suggerisci?».
«Stai a vedere». Spalanca la porta del bagno e scappa via correndo. Dieci secondi dopo torna indietro. «Cosa stai aspettando? Andiamooo!».
Caterina
Oh Holy Night – Cary Brothers
Christmas Lights – Scala & Kolacny Brothers
La colazione della mattina di Natale è da sempre il momento che preferisco. Quando ero bambina mi svegliavo all’alba per andare a controllare che Babbo Natale avesse lasciato tutti i regali sotto l’albero. Aspettavo paziente che mamma e papà si svegliassero e nel frattempo ordinavo tutti i regali dal più piccolo al più grande. Me ne stavo lì, tranquilla, a contemplarli e pregavo che i miei genitori si svegliassero presto.
Eva non è paziente.
Eva è un terremoto di adrenalina e smania.
Ci svegliamo con lei che salta sul nostro letto e strilla dall’eccitazione.
«Babbo Nataleeee! È arrivatoooo! Ha portato mille regali! Mamma devi venire a vedere subito!».
Continua a saltare come un’indemoniata finché Ben non l’afferra per una caviglia facendola ricadere sul materasso in mezzo a noi. L’avvolge sotto il copriletto e inizia a farle il solletico. Eva ride come una matta e nel divincolarsi molla calci a destra e a sinistra. Due secondi dopo Ben afferra anche me e ci ritroviamo entrambe sotto l’abbraccio possente dell’uomo dei miei sogni.
«Papà». Il tono impaziente di Eva ci fa ridacchiare. «Adesso dobbiamo proprio andare». Si divincola dal nostro abbraccio e salta giù dal letto.
«Perché non vai a dividerli intanto, noi arriviamo subito», suggerisce Ben e sento la sua mano accarezzarmi la coscia sotto le coperte. Nascondo il viso contro il cuscino e mi avvicino al suo corpo scolpito. Riesce ancora a farmi arricciare le dita dei piedi con un solo magico tocco.
Eva corre fuori dalla stanza e Ben ne approfitta per infilarsi sotto la trapunta e coprire anche me. «Lo vuoi adesso il tuo regalo di Natale?», mi domanda con voce sexy, premendo il suo meraviglioso corpo contro il mio. Nostra figlia è al piano di sotto, davanti a una quantità eccessiva di pacchetti perfettamente incartati e non resisterà a lungo senza aprirli. Mi aspetto che torni galoppando in camera nel giro di pochi minuti.
«Molto allettante, ma non credo sia il…». Mi bacia piano facendomi mozzare l’ultima parola in gola. È passato troppo tempo dall’ultima volta che siamo riusciti ad avere un paio d’ore tutte per noi e muoio dalla voglia di ricordare che effetto fanno le sue mani addosso.
Mi bacia di nuovo, stavolta in modo più deciso, le sue dita fredde si insinuano sotto la mia camicia da notte e poi, le sue labbra, si staccano dalle mie e mi sfiorano piano il collo. «Ben… non iniziamo qualcosa che proprio non riusciremo a finire», lo ammonisco lasciandomi andare a un gemito di piacere.
«E se ti dicessi che possiamo iniziare adesso e finire stasera?». Allunga il braccio verso il comodino ed estrae una busta bianca dal cassetto. Me la passa e mi sorride in modo dolce. «Forza, aprila!».
Non è sigillata così alzo il lembo e ne estraggo un biglietto d’auguri. Sorrido come una stupida. Lo riconosco subito, gliene avevo comprato uno molto simile tanti anni prima, al nostro primo Natale insieme. Il naso rosso di Rudolph sulla copertina si illumina e Oh Holy Nights inizia a suonare non appena lo apro. La prima cosa che attira la mia attenzione è la scrittura in corsivo di Ben sulla facciata interna sinistra e leggo ad alta voce la dedica: “quando non sei vicina a me sono incompleto”.
Sospiro e fisso quelle parole ordinate con commozione. Era tanto tempo, troppo, che non le sentivo, che non ci pensavo. Un moto di nostalgia mi scuote da cima a fondo e ricordi di quando eravamo al college mi scivolano davanti agli occhi. La prima volta che mi ha dedicato la canzone di Ross Copperman eravamo in spiaggia a Tampa, io e lui, sotto le stelle, un vecchio iPod in mano e mille sogni da realizzare.
Chiudo gli occhi per un secondo ringraziando mentalmente la mia buona stella per avermi permesso di realizzarli tutti.
«Forza, continua a leggere», mi incita Ben.
Mi schiarisco la voce. «Buono per un weekend indimenticabile a Cocoa Beach, con partenza stasera! Eva rimarrà con la nonna… Scherzavo, non andiamo a Cocoa Beach! La destinazione è una sorpresa», ridacchio e gli butto le braccia al collo.
Stavolta sono io a baciarlo con trasporto, dimenticandomi di Babbo Natale, dei regali e di una bambina di sei anni in piena crisi euforica al piano di sotto.
«Cat…» mugola fra le mie labbra «conserva questo entusiasmo per stasera». Mi molla una sculacciata sul sedere e si scosta da me. «Forza, cambiamoci e andiamo di sotto prima che Eva inizi ad arrampicarsi sui muri».
Afferra il cellulare dal comodino e chiama suo fratello. Rimango sdraiata a fissare il biglietto d’auguri e rifletto sul fatto che, negli anni, non siamo mai partiti senza Eva. Non so perché, ma non ci è mai sembrato giusto. Ogni tanto l’abbiamo lasciata dormire a casa della nonna, piuttosto che da Mark e Jessica, ma non abbiamo mai fatto un viaggio senza di lei.
«Mammaaaaa… Papàààààà… sbrigateviiiii», urla dal piano di sotto in modo poco elegante nostra figlia.
Ben fa scorrere l’acqua nella doccia e finalmente scendo dal letto e lo raggiungo in bagno.
«Stavo pensando…», dico, appoggiata contro il lavandino, «non siamo mai partiti senza Eva. È lontano questo posto dove vuoi portarmi?».
«No», risponde lui, risoluto.
Sospiro. «È un posto dove i bambini non possono andare? Non so, un centro benessere di lusso?». Ben odia tutto ciò che per il resto del mondo è rilassante: sauna, bagno turco, massaggi… quindi mi aspetto che scarti quell’opzione.
«Diciamo che i bambini, volendo, sono i benvenuti. C’è un centro benessere di lusso, ma non credo che avremo tempo di andarci». Questa affermazione mi confonde ancora di più le idee.
Chiude l’acqua della doccia e sbircio dietro la tenda per ammirarlo in tutto il suo splendore. Non ricordo nemmeno l’ultima volta che siamo stati insieme, perché sto facendo così la difficile?
«Cosa succede? Non vuoi partire?». Non mi guarda negli occhi, esce dalla doccia e si avvolge un asciugamano intorno alla vita. È sexy come non mai, con i capelli umidi, il telo calato sulla vita e quell’atteggiamento provocante che solo lui ha.
Dio… sì che voglio partire!!!
«Sì, certo che sì».
«E allora qual è il problema?».
Scuoto la testa e sorrido. «Nessuno».
«Non vuoi lasciare Eva il giorno di Natale?».
Già, non voglio lasciarla il giorno di Natale. O quello di Santo Stefano. O quello dopo ancora. Nonostante quella ragazzina abbia l’energia di tre elefanti e riesca a sfiancarmi dopo solo mezz’ora, quando non c’è, mi manca.
Non rispondo, non ho voglia di mentire a Ben, ma non voglio nemmeno confessargli che sono diventata una di quelle madri iperprotettive e che hanno bisogno dei loro bambini molto di più di quanto loro abbiano bisogno di noi.
«Apri il cassetto del mio comodino», mi fa l’occhiolino e mi spinge fuori dal bagno prima che possa aggiungere altro.
Una busta rossa e spessa è adagiata in modo ordinato su una pila di documenti e la afferro. «Questa?».
Ben chiude a chiave la porta della nostra camera da letto e si lancia sul letto, un sorriso da canaglia dipinto in viso. Incrocia le gambe all’altezza della caviglia e le braccia dietro la testa.
Apro la busta e scuoto la testa. «Fai sul serio?»
«Oh sì, sono molto serio!».
«Il regalo è per me o per te ed Eva?», cerco di usare un tono sarcastico, ma proprio non riesco a trattenere il sorriso a trentadue denti. Cosa ho fatto per meritarmi un uomo del genere?
«Per tutti e tre… c’è un centro benessere che è la fine del mondo e un campo da tennis all’avanguardia».
Mi rigiro il cartoncino fra le mani, non capisco la sua allusione al campo da tennis, ma lascio correre.
«Stai cercando di vincere il premio padre dell’anno? Ma poi… Babbo Natale non è stato già piuttosto generoso con quella streghetta, quest’anno?».
Mi sfilo la camicia da notte e la lascio cadere per terra. Una cosa è certa: non finiremo stasera quello che moriamo dalla voglia di cominciare adesso.
«Il premio padre dell’anno me lo sono aggiudicato senza sforzo con la bicicletta della principessa Elsa che ho già montato e che l’attende impaziente in garage… sto cercando di vincere il premio marito dell’anno».
«E pensi che una crociera di una settimana ai caraibi sulla nave Disney sarà abbastanza?», faccio scorrere la lingua piano sul suo collo, scendendo lentamente sul suo petto.
«Oh, credo proprio di sì. Cerca di visualizzare la scena: bambina indemoniata al mini club Disney tutto il giorno, mamma stanca che si fa coccolare nel lussuoso centro benessere, “papà dell’anno” al bar a bordo piscina a bere birra. E, tra un’attività e l’altra, ci godremo il mare dei Caraibi e faremo tanto, ma proprio tanto, sesso… ho preso due camere comunicanti».
Continuo a baciarlo piano, facendogli inarcare la schiena e buttare la testa all’indietro. «Come facevi a sapere che non sarei voluta partire senza Eva?».
«Perché ti conosco, perché ti amo e… mmmhh» deglutisce rumorosamente «oh Cat, continua così e ti aggiudicherai il premio moglie dell’anno da qui ai prossimi due».
«Stupido!».
***
Christmas Lights – Coldplay
Titanium – Lorenzo Licitra
Ci rivestiamo in fretta e scendiamo al piano di sotto. Eva ha creato tre mucchietti e ha ordinato i pacchetti in base al colore della carta regali: dal più chiaro al più scuro.
«Finalmente! Ma cosa stavate facendo di sopra?». Ci guarda sospettosa e sento le mie guance andare a fuoco. Mi rifugio in cucina a preparare il caffè. Sento Ben spiegarle che stavamo discutendo di una cosa importante, da grandi, e avevamo bisogno di un po’ di privacy.
Preparo la macchinetta del caffè e torno in sala, ma non credo che Eva ci permetterà di berlo prima di scartare fino all’ultimo regalo.
Ogni pacchetto è uno strillo di gioia. Una nuova Barbie, un kit per creare braccialetti con le perline, la cucina giocattolo, un set di tempere per dipingere e almeno altri quindici giocattoli. Fisso tutta quella carta regali strappata disseminata sulla moquette e mi riprometto di farle meno regali l’anno prossimo. Poi guardo il suo viso impertinente felice e alzo gli occhi al cielo. È colpa mia se è così viziata.
«Mamma devi aprire il tuo regalo, adesso». Si gira verso Ben e gli fa l’occhiolino. Mi passa una scatola grandissima e molto leggera. Non so come abbia fatto a sfuggirmi ieri sera quando ho posizionato sotto l’albero tutti i pacchetti.
La scarto piano, gustandomi l’aspettativa dipinta sul viso della mia bambina. «Una racchetta da tennis!», cerco di mascherare la delusione nella mia voce ed Eva abbassa lo sguardo sulle sue mani.
«Hai detto che volevi il tennis», mi ricorda Ben e non l’ho mai visto così serio e soddisfatto allo stesso tempo.
Mio Dio, come è possibile che sia stata così stupida da non specificare che “il tennis” è un bracciale e non una stupida racchetta? Io odio il tennis.
«Wow, okay… grazie?». Mi rigiro la racchetta fra le mani. Tutti questi anni a istruirlo su borse e scarpe e mi sono dimenticata la lezione sui gioielli!
«Che c’è mamma, non ti piace?». Eva cerca di trattenere un sorriso, sta tramando qualcosa e lo sta facendo con suo padre che fa finta di esaminare da vicino la scatola del nuovo iPad che gli ho regalato.
«Sputate il rospo!».
Eva spalanca gli occhi e la vedo mordicchiarsi l’interno della guancia. Scuote la testa e allarga le braccia. «Non ti stiamo nascondendo niente», si autodenuncia.
Ben ride. «Dai Eva, non torturiamo la mamma, dalle il suo regalo».
«Okay», replica quella piccola furfante e si slancia in avanti per recuperare un pacchetto rettangolare sottile da dietro l’albero di Natale. «Lo ha scelto papà», mi informa.
Mi si ferma il cuore dall’emozione. Tasto la scatolina e riesco a percepire il velluto anche attraverso la carta regali.
Allora mi ascolta quando parlo!
Strappo la carta come una forsennata ed eccola lì la scritta che morivo dalla voglia di leggere: Cartier.
Mi sento subito in colpa: fra il bracciale e la crociera avrà speso una fortuna. I miei sensi di colpa durano il tempo di allisciare il tessuto morbido della confezione e far scattare la chiusura.
Quasi mi cade la mascella a terra e non dall’emozione.
Una penna.
Una penna stilografica con il logo della N.A.S.A..
Una penna stilografica con il logo della N.A.S.A. e il cappuccio a forma di navicella spaziale.
«Spero per te che questo sia un modo originale per informarmi che stai per andare sulla Luna perché è lì che finirai fra tre… due… uno…».
Ben scoppia a ridere e si scansa in tempo per evitare la ciabatta che gli lancio.
«Mamma oggi sei davvero strana! Non ti piace la racchetta, non ti piace la penna…». Eva si porta le manine sulla bocca e cerca di trattenere una risata.
«La tua espressione è impagabile», insiste mio marito, sbellicandosi ancora di più. Si alza da terra e cammina, in ginocchio, verso di me. «Eva».
La bimba si alza a comando e corre verso il ripostiglio accanto alla porta d’ingresso.
Ben ne approfitta per baciarmi. «Secondo te potrei mai vincere il premio marito dell’anno con una penna stilografica?». Il suo bacio si fa più intenso e sento un flop nello stomaco. «Sono mesi che sbavi davanti a quella vetrina».
Faccio una smorfia per nascondere il sorriso e mi giro in tempo per vedere Eva correre come una forsennata verso di noi.
«Tieni!», mi consegna una bustina di plastica di quelle ermetiche che uso per i suoi pranzi a scuola. Il bracciale è avvolto in un tovagliolo di carta e, non appena lo vedo, rimango senza fiato.
Spalanco al bocca nemmeno fossi un pesce e non riesco a parlare per mezzo minuto abbondante.
«Ben! No… non è questo il bracciale che avevo visto. Questo è… è troppo!».
Mi sfila il tennis dalle mani e me lo avvolge intorno al polso. Fisso tutto quel luccichio senza battere ciglio. Non posso credere che abbia fatto una cosa del genere.
«Eva…», parla con lei, ma fissa me. «In garage c’è un altro regalo per te, vai a vedere di cosa si tratta».
La vipera non se lo fa ripetere due volte. Non appena sente la parola “regalo” balza in piedi e si volatilizza.
«Niente è troppo. Niente è abbastanza». Non ho mai visto il suo sguardo così intenso, mi fa tremare il cuore.
«Che c’è, hai vinto la lotteria?», blatero io, incapace di sostenere il suo sguardo e cercando in tutti i modi di trattenere le lacrime rifugiandomi dietro a una battuta fuori luogo.
Ben scuote la testa. «Devo farmi perdonare», dice serio e, per una frazione di secondo, il sangue mi defluisce dal viso. «Non ci sono mai a casa, lavoro troppo e vi trascuro. Ti prometto una settimana tutta per noi tre, senza cellulare che squilla ogni cinque minuti, senza interferenze». Ma non mi sta dicendo tutto e gli accarezzo il viso, cercando di incoraggiarlo.
«C’è dell’altro?», domando e lui annuisce.
«Ho ricevuto una promozione importante. Se accetterò dovrò andare spesso a Houston , starò via anche intere settimane e leverò altro tempo alla nostra famiglia». La sua mano si insinua dietro la mia nuca. Mi basterebbe scuotere la testa e rinuncerebbe seduta stante al nuovo progetto, ma non potrei mai fargli una cosa del genere. Ma quella parola, quella città, riporta a galla solo sofferenza. Da una parte l’amore per il suo lavoro, dall’altra io ed Eva. Due realtà che fa fatica, ancora oggi, a conciliare.
«Quanto durerà?»
«Due anni».
Mi si chiude lo stomaco. «È quello che vuoi?».
«È il lavoro dei miei sogni. Ma voi siete più importanti, questa è l’unica certezza che ho», il suo sguardo serio mi fa commuovere.
«E allora non c’è altro da aggiungere, accetta il nuovo incarico», sorrido ma sento il mio stupido cuore sbriciolarsi. «Adesso alziamoci da qui, Mark e gli altri arriveranno a momenti. Tu devi ancora iniziare a preparare l’impasto per i pancake e io devo apparecchiare. Grazie, il regalo è un sogno», gli sfioro le labbra con le mie e mi alzo.
«Blondie…».
«Va tutto bene, sul serio».
Si alza anche lui e mi afferra da dietro, abbracciandomi forte. Il suo naso nell’incavo del mio collo e le sue mani strette intorno alla mia vita.
«Posso rinunciare, davvero», mi sussurra all’orecchio.
«No, non puoi», mi volto a guardarlo e gli allaccio le mani intorno al collo. «Promettimi solo che tornerai da noi ogni volta che ne avrai la possibilità, che niente ci dividerà. Non la distanza, non il tuo nuovo progetto. Promettimi che non cambierà nulla, che saremo sempre al primo posto per te».
Il suo sorriso dolce è disarmante. «Starò con voi fino alla fine del mondo… e poi ancora un altro po’. Te lo prometto».
Veniamo interrotti dal rumore del campanello della bicicletta nuova di Eva che strimpella per tutta casa e un secondo dopo dal tonfo di qualcosa di metallico che si schianta contro il muro.
«Sto beneee!», urla Eva dalla cucina ma io e Ben ci stiamo già precipitando da lei. La troviamo sotto la bicicletta, con il casco storto in testa e il ginocchio che sta già sanguinando.
«Ti sei fatta male?». Ben solleva la bici da sopra il suo corpicino e con l’altro braccio la issa su.
«Sì!», ma sta ridendo. Si alliscia la camicia da notte e si sistema i capelli. «Mi sa che ho preso la curva un po’ troppo veloce».
Alzo gli occhi al cielo. Mi farà morire di crepacuore uno di questi giorni. Ben osserva la sgommata nera sul muro e si affretta a dirmi che la pulirà lui.
«Tornerò ogni volta che potrò!», mi rassicura.
«Sarà meglio per te».
Mark
Lavender Hills – Brian Crain
One More Sleep – Leona Lewis
Prima di uscire di casa mi assicuro che ci siano tutti e sei. Li conto due volte, per sicurezza. Hanno la capacità di sparire nel nulla in pochi secondi e perdersi nel tragitto da casa nostra a casa di mio fratello. E abitiamo a dieci metri di distanza!
Jessy mi mette in mano due buste con dentro i regali di Natale per Eva e i suoi genitori e mi fa cenno di avviarmi. Io apro la fila, lei la chiude.
I ragazzi camminano in fila indiana fra di noi, ma non perdono occasione per farsi un dispetto a vicenda, prendere a calci qualsiasi cosa gli capiti sotto tiro, dare una sberla al fratello che si trovano davanti.
Cat è in cucina che prepara i milk-shake per i ragazzi e la sua espressione triste mi coglie di sorpresa. Ben deve averle detto del suo nuovo incarico. È davvero egoista certe volte: non si danno certe notizie a stomaco vuoto. Poteva almeno aspettare la fine del brunch!
Logan corre in salone a cercare la cugina. Lo sento chiamarla a squarciagola e faccio un respiro profondo perché è il giorno di Natale e non ho voglia di litigare con lui. O con gli altri cinque delinquenti di figli che mi ritrovo. O con quella finta santarellina di mia nipote.
Aspetto che anche Jess esca dalla cucina e mi avvicino a Cat. Senza dire una parola afferro un paio di banane e le taglio a cubetti.
«Bello il bracciale», dico, senza guardarla.
«Già», replica a fior di labbra.
«Ti ha dato tutti i regali?».
«Intendi la crociera?».
Annuisco e infilo la banana nel frullatore, poi le passo la panna.
«Sì. Partiamo stasera».
«Stai bene?».
«No». Nonostante siano passati tanti anni e le nostre vite siano cambiate in modi che non pensavamo possibili, la sincerità e la schiettezza fra noi sono rimaste invariate.
«Tornerà spesso e non scordarti che a febbraio lanciamo la nuova linea di maglie, non te ne accorgerai nemmeno della sua assenza», dico, ma non lo penso.
«Giusto».
«Se non vuoi che accetti diglielo e basta». Le afferro il viso fra le mani e la costringo a guardarmi. Il suo sguardo malinconico mi colpisce dritto nello stomaco.
«Ho paura», sussurra lei.
«Di cosa?», ridacchio nel dirlo, sperando che tanto basti per allentare la tensione.
«Fino a qualche tempo fa non avrebbe mai accettato un incarico a Houston e io non posso mettermi fra lui e il suo sogno. Ho paura che pian piano il suo lavoro diventi più importante, che succeda come l’altra volta».
«Sei pazza?», le do un buffetto sulla guancia. «Niente è più importante di te e di Eva per lui».
Scuote la testa e si asciuga una lacrima. «Tu non capisci, tu non c’eri».
«Dopo tutto quello che avete passato e costruito insieme vuoi davvero dirmi che non ti fidi di lui? Che lo credi capace di rischiare te ed Eva per un lavoro?», alzo la voce di un tono. Non voglio discutere con lei, ma non posso credere che mi stia dicendo queste cose.
«No», risponde seria. Fa un bel respiro e poi una smorfia con le labbra, «non ti sopporto quando hai ragione».
«È solo perché non ci sei abituata. Io non ho mai ragione!», le faccio l’occhiolino e mi infilo mezza banana in bocca. «Tra quanto mangiamo? Sto morendo di fame».
Veniamo interrotti da Ethan, il mio secondogenito, il bambino più tranquillo del mondo, che entra in cucina strascicando i piedi e si tiene una mano sulla tempia. «Logan ha fatto cadere Eva dalla bicicletta, lei si è arrabbiata e gli ha lanciato il casco addosso, solo che ha preso me in testa», spiega e io sento il sangue ribollirmi nelle vene.
Cat si avvicina a lui per esaminare la ferita. Ha un bozzo sopra la tempia e si affretta a estrarre del ghiaccio dal freezer.
«Lo ammazzerò una volta per tutte!», sentenzio mentre esco a passo di carica dalla cucina. «LOGAN!», urlo e lo inizio a cercare per tutta casa.
Trovo lui e sua cugina in giardino, nascosti dietro il tronco di un albero. Si stanno spingendo a vicenda perché c’è posto solo per uno di loro.
Alla fine Logan ha la meglio – cosa non scontata – e riesce, con uno spintone, a far uscire Eva allo scoperto.
«Zio non è come pensi», esordisce lei. Gli occhi spalancati, il labbro inferiore in fuori e un’espressione pentita dipinta in viso.
Ma sappiamo entrambi che è esattamente come penso!
«No? Quindi Logan non ti ha fatto cadere? E tu non gli hai tirato il casco addosso? E non hai colpito Ethan?».
Sbatte le ciglia alla velocità della luce e corruccia le labbra. «Okay, confesso, è andata così». Allarga le braccia e annuisce a se stessa. Riuscirebbe a mandare in galera un’innocente. «Ma io, a differenza di Logan – che è nascosto proprio qui – non l’ho fatto di proposito». Indica il cugino e continua ad annuire con la testa.
«Sta zitta!», sibilla il più indemoniato dei miei figli.
«Logan… hai tre secondi di tempo per uscire da lì dietro. Dopo di che andrete entrambi a scusarvi con Ethan, vi andrete a lavare le mani e vi metterete seduti a tavola. Il tutto in religioso silenzio».
Mi passano davanti con lo sguardo basso e le mani dietro la schiena.
«È tutta colpa tua», sento dire a Logan fra i denti.
«No, cetriolo, è solo colpa…».
«Silenzio!», li ammonisco io.
«…tua», conclude Eva con un filo di voce e alzo gli occhi al cielo.
Si spintonano ignorando del tutto i miei avvertimenti, ma poi strisciano in casa e due minuti dopo sono seduti a tavola l’uno accanto all’altra, con le bocche sigillate, ad aspettare il resto della famiglia.
Come da tradizione, una volta finito di mangiare, mamma lancia un’occhiata a Ben e lui, senza fare troppe storie, si accomoda davanti al pianoforte. Eva alla sua destra, Logan alla sinistra.
Eva ha lo stesso senso musicale di sua madre: inesistente. Logan, invece, se solo si applicasse un pochino, potrebbe sfruttare il suo talento, ma è troppo indisciplinato.
Ben suona Lavender Hills di Brian Crain e Logan lo aiuta con le note basse. Cat è finalmente tranquilla e rimane appollaiata sul divano a fissare suo marito, incantata. Mia madre si dà da fare in cucina insieme a Jess. I gemelli dormono non so dove, Ethan ha un bernoccolo in testa, ma non ha perso il sorriso e Josh osserva suo zio con smisurata ammirazione. Afferro il cellulare e scatto una foto.
Mi fanno dannare – tutti, grandi e piccoli -, ma non potrei vivere senza di loro. Mi godo questi dieci minuti di calma e tranquillità… deve essere la magia del Natale.
Francesca says
Bellissimo, come tutti dal tronde. Bravissima Valentina, sei fantastica
Mary says
Wow
Erika says
Meraviglioso come ogni tuo capolavoro!
Jona says
Che bello leggere di nuovo della famiglia Carter. Bravissima Valentina che hai creato questi personaggi e queste storie stupende
Paola says
È sempre un piacere tornare in famiglia
Raffaella says
Sei fantastica .Ci hai regalato ancora qualcosa di bello. Leggere di loro non mi stanca mai.
Maria Grazia says
Assolutamente meraviglioso, tornare ogni tanto con i Carter ti riempie il cuore e come tornare a casa dopo un’assenza…e sai che loro sono lì ad accoglierti a braccia aperte
Carmela says
Grazie mille Valentina per questi bellissimi capitoli extra che ci fanno tornare con immenso piacere a casa Carter !
Ogni volta che ci concedi un pezzettino in più ci fai gioire immensamente…. mica hai intenzione di finire così ?
C’è ancora tanto da scrivere …. su dai, al lavoro !!!!
Paola says
Bellissimo è sempre bello mi sono rimasti nel cuore la loro storia la leggo e la rileggo
Rosy says
È sempre bello leggere dei Carter!!!!
Continua Valentina!!!
E grazie per questi regali
Stefania says
Che bello avere di nuovo qualche stralcio di vita dei Carter. Grazie Valentina 🤩
Silvia F. says
Valentina che dirti, anche se un breve racconto di un Natale a casa Carter, mi hai fatto immaginare di essere lì con loro, grazie per queste piccole pillole che ci regali della nostra famiglia preferita ❤️