CATERINA
Soundtrack: I’m sexy and I know it – LIMFAO
Mi guardo intorno imbarazzata e, senza accorgermene, inizio a ondeggiare sul posto: tacco-punta, tacco-punta, tacco-punta.
Ben: «Sei nervosa?».
Io? Nervosa? Perché siamo da soli ed è la prima volta che succede? No, no-no, perché mai? Ma dove diavolo è finito Mark?
Non rispondo alla sua domanda, mi limito a sfoderare un mezzo sorrisetto annoiato, incrocio le braccia al petto e mi volto nella direzione da dove dovrebbe arrivare Mark con la mia auto.
Ben: «Ho fame».
Sto per replicare qualcosa di davvero maturo tipo “ecchissenefrega” che il cellulare inizia a trillarmi in borsa e I’m sexy and I know it dei LMFAO riecheggia per tutto il quartiere universitario facendomi sbarrare gli occhi.
È la suoneria abbinata al numero di Mark. E Ben, da come sposta la testa di lato e mi osserva infastidito, credo lo sappia. Non l’ho impostata io. Ma credo che sappia anche questo.
I suoi occhi immensi mi stanno addosso intanto che affondo la mano nella borsa ripetutamente e cerco quel maledetto telefono che deve essersi infilato in qualche magica e invisibile tasca perché è IMPOSSIBILE trovarlo…
Trovato!
Ben: «Passami il telefono».
Cat: «Scusa?».
Allunga la mano e io la ritraggo ma è più veloce di me e me lo sfila dalle dita senza il minimo sforzo. Piccolo cavernicolo arrogante, ma chi diavolo pensa di es…
Ben: «Mark! Dove cazzo sei? Sono venti minuti che ti aspettiamo!».
Mark: «Ben? Sei tu? Perché rispondi al telefono di Cat?».
Ben: «Dove sei, Mark?».
Mark: «Ho avuto un contrattempo. Sarò lì fra quindici minuti. Ma a te cosa te ne frega?».
Ben: «Kris ha preso la mia macchina, ho bisogno di un passaggio a casa e Blondie è qui da mezz’ora in mezzo alla strada che ti aspetta. Riportale la macchina. ADESSO!».
Mark: «Sì, sì, sto arrivando. Venti minuti al massimo. Intanto offrile il pranzo o un qualcosa da bere, comportati da bravo ragazzo insomma. Non farmi fare figuracce».
Ben: «Stronzo!».
Mark praticamente urla per sovrastare la musica che tiene a tutto volume e non mi è difficile ascoltare la conversazione, anche se faccio finta di niente.
Ben mi ripassa il cellulare: “mio fratello dice che arriverà fra venti minuti, il che vuol dire che siamo bloccati qui per almeno un’ora”. Sbuffa e si guarda intorno esasperato. «Ho fame». Dice di nuovo.
Cat: «C’è uno Starbucks dall’altra parte della strada».
Ben: «Odio Starbucks». Commenta lui, più a se stesso che a me. Dopo di che attraversa la strada e si incammina verso il caffee.
Ben: «Rimani lì o vieni?».
L’orgoglio quasi mi impone di mandarlo a quel paese… oh al diavolo, non voglio rimanere impalata sul marciapiede ad aspettare Mark.
Quando entro nel locale, Ben sta già ordinando.
Ben: «Due Vanilla Latte Grande, un muffin al cioccolato, uno ai mirtilli, una fetta di pound-cake al limone e un panino con il formaggio e petto di pollo».
La ragazza alla cassa digita frettolosamente il suo ordine ma sta ben attenta a non incrociare i suoi occhi. Come darle torto, quest’uomo ha il potere di un incantatore di serpenti. Io stessa evito il più possibile il contatto visivo con lui.
Cassiera: «come ti chiami?».
Alzo gli occhi al cielo. Ma si può essere così sfacciate? Sta facendo la gatta morta proprio davanti ai miei occhi senza ritegno.
Ben: «Ben».
La ragazza afferra un grosso pennarello nero e scrive il nome di Ben su un lato del bicchiere di carta. Poi si gira verso di me e, con un bel sorriso, mi domanda anche il mio nome. E poi capisco.
Cat: «Mmmhh… Caterina. Con la C». Mi sento proprio stupida!
Ben: «Prendi lo zucchero e trova un posto libero».
Cat: «Agli ordini, capo». Non riesco proprio a trattenere il tono acido ma lui non si scompone.
Giro intorno ai tavoli ma non ne scelgo nessuno, rimango in piedi ad esaminarli uno ad uno finché Ben non mi è alle spalle con il vassoio carico di cibo e dei nostri Vanilla Latte.
Ben: «Che succede?»
Cat: «Sto cercando un tavolino pulito», confesso io.
Ben: «A me sembrano tutti puliti». Si siede su un divanetto davanti ad una delle vetrate che danno sulla via principale.
Cat: «Pulito, a casa mia, vuol dire ben altro».
Ben: «Non fare la snob».
Il suo commento mi fa perdere le staffe.
Cat: «E tu, ogni tanto, cerca darti un tono e di essere meno barbaro. Sai le ragazze apprezzano molto di più i tipi gentili che un rozzo dispotico cavernicolo come te».
Rimango in piedi con le braccia conserte e alzo entrambe le sopracciglia aspettando la sua risposta al vetriolo. Invece, lui, mi osserva divertito e quasi scoppia a ridere.
Ma che diavolo!
Ben: «La mia vita sentimentale va alla stra-grande, principessa, ma grazie per il consiglio. Ora mettiti seduta o inizio a mangiare senza di te».
Fisso prima i suoi occhioni perfetti, poi il suo bellissimo viso privo di imperfezioni e per ultimo il contenitore con il mio Vanilla Latte che muore dalla voglia di essere bevuto.
Mi siedo sul ciglio del divanetto davanti a lui e lo guardo di traverso ma non se ne accorge nemmeno. Afferra il mio Latte e mi domanda, con tono innocente, se ho una penna.
Cat: «Cosa ci devi fare?».
Ben: «Ce l’hai sì o no?».
Sbuffo e ne estraggo una nera dalla borsa. Gliela porgo e lui inizia a scarabocchiare sul contenitore di carta.
Mi ripassa il mio bicchiere e strabuzzo gli occhi. Sotto il mio nome ha scritto “is a snob”! Cosa? Mi ha scritto che sono una snob?
Cat: «Sei davvero immaturo», è il meglio che riesco a farmi uscire di bocca.
Ben: «E tu davvero bella quando metti il broncio».
Il mio cuore smette di battere. Di cosa stavamo parlando?
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